Psicoterapia sistemico/relazionale

Cambio o non cambio? Le resistenze in psicoterapia

Che cos’e’ una resistenza?

Il termine “resistenza”, nell’uso generico, sta ad indicare un’azione tendente a impedire l’efficacia di un’azione contraria.

Anche in psicoterapia esistono le resistenze e sono intese come tutto cio’ che ostacola il cambiamento.

Ciascuna scuola e ciascun orientamento teorico ha pero’ dato delle sfumature diverse a questo concetto.

Che cos’e’ una resistenza nella psicoterapia sistemico/relazionale?

All’inizio, in Psicoterapia Relazionale: il termine “resistenza” stava ad indicare tutti quei comportamenti e quegli atteggiamenti del paziente (singolo, coppia, famiglia) che si opponevano al raggiungimento degli obiettivi terapeutici.

Grazie ai contributi della cibernetica di secondo ordine, secondo cui il paziente e il terapeuta appartengono ad uno stesso sistema e secondo cui qualsiasi movimento di una parte del sistema ha ripercussioni anche sull’altra parte del sistema, il concetto di resistenza cambia.

Con la cibernetica di secondo ordine, quindi: la resistenza comincia ad essere considerata l’insieme dei comportamenti e degli atteggiamenti sia del paziente, sia del terapeuta che si oppongono al raggiungimento degli obiettivi terapeutici. Entra quindi in gioco, in maniera piu’ importante, il terapeuta.

Secondo il gruppo di Mara Selvini Palazzoli: la resistenza in psicoterapia non va neutralizzata, va invece trattata come un’informazione e come tale va utilizzata al servizio della terapia stessa. Il bravo terapeuta comprende l’informazione e la utilizza al servizio della terapia, per gli scopi della terapia.

Secondo Minuchin, all’interno della sua Terapia Strutturale: la resistenza al cambiamento si esprime attraverso l’adesione predominante dei singoli membri della famiglia alle regole familiari esistenti, con i singoli membri che si oppongono ai movimenti degli altri verso il cambiamento.

Nella Terapia Simbolico-Esperenziale di Whitaker: la resistenza viene definita come la conservazione di una organizzazione preesistente di fronte ad uno stress intollerabile o ad una forte richiesta di cambiamento. Ad esempio, durante alcune fasi critiche del ciclo vitale, il paziente tende a mettere in atto modelli precedenti come reazione ad una grande richiesta di cambiamento.

Secondo la visione creativa e originale di Whitaker, la resistenza fa comunque parte del cambiamento e compito di un buon terapeuta e’ quello di tenerne conto e di gestirla attraverso una combinazione di umorismo, sostegno e provocazione.

All’interno della Terapia Ericksoniana: le resistenze vengono paragonate alla corrente impetuosa di un fiume: il terapeuta deve deviare quella corrente verso un nuovo comodo letto, piuttosto che tentare di bloccarla in maniera rigida, in quanto, nel tentativo di bloccarla, il rischio e’ quello di venirne travolti. Il terapeuta deve quindi, secondo Erickson, affrontare questa resistenza e ridefinirla in termini di collaborazione, per evitare che la resistenza sia troppo grande e troppo forte.

Secondo Chiara Angiolari (docente IIPR di Roma): le resistenze vanno interpretate in termini di bisogni.

Quali tipi di resistenze esistono?

Nella psicoterapia sistemico/relazionale, alcuni tipi di resistenza, che appartengono alcuni al paziente, alcuni al terapeuta, sono:

  • Manovra del membro assente;
  • Silenzio;
  • Evasività e generalizzazione;
  • Loquacità eccessiva;
  • Interruzioni e cambiamenti improvvisi del discorso;
  • Intellettualizzazione;
  • Preoccupazione per i sintomi;
  • Esibizione di sentimenti;
  • Competitività;
  • Comportamento seduttivo;
  • Incidenti critici

La resistenza si esprime non soltanto nel non fare ciò che è stato richiesto dal terapeuta, ma può assumere anche altre forme:

  • Nessuna collaborazione (puo’ essere presente nei pazienti obbligati ad intraprendere una psicoterapia);
  • Scarsa collaborazione (è la modalità più comune di resistenza);
  • Parziale collaborazione;
  • Eccessiva collaborazione (è la forma più difficile da riconoscere e da risolvere);
  • Pseudocollaborazione (il paziente sembra collaborare, invece non lo sta facendo);
  • Motivazione scarsa o ambigua;
  • Discordanza delle aspettative;
  • Scarsa fiducia;
  • Facile distraibilita’;
  • Atteggiamento di squalifica verso il setting terapeutico;
  • Razionalizzazione critica del lavoro terapeutico;
  • Fantasia di perdita di controllo.

A chi appartengono le resistenze?

La resistenza puo’ essere:

  • Del paziente;
  • Del terapeuta;
  • Del contesto.

Compito del bravo terapeuta e’, in tutti i casi, riconoscere la resistenza, capirne il significato e utilizzarla al meglio al servizio della terapia e degli obiettivi terapeutici.

Chi di voi ha intrapreso un percorso terapeutico e sente di aver avuto delle resistenze al cambiamento? Come sono state affrontate dal/ la vostro/a psicoterapeuta?

Se ti va, scrivimi!

Dott.ssa Marianna Vallone

Psicologa e psicoterapeuta

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